Modena: femminicidio di Anna Sviridenko, è il 29esimo dell'anno in Italia
- Baroni Sara

- 11 giu 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 12 giu 2024
Modena, femminicidio: Anna Sviridenko strangolata e ritrovata nel furgone di Andrea Paltrinieri. La violenza patriarcale continua senza tregua. I media devono smettere di giustificare questi atti.

Un altro atto di violenza patriarcale si è consumato, questa volta a Modena, nella notte fra lunedì 10 e martedì 11 giugno. Andrea Paltrinieri, un uomo di 48 anni, si è presentato al comando dei carabinieri di Modena dopo il femminicidio di Anna Sviridenko (non è ancora chiaro se sia la moglie o la ex moglie) con il corpo della donna nel bagagliaio del suo furgone. Per ora, dell’ennesima vittima di femminicidio in Italia, si è divulgata solamente l’età, ovvero 41 anni, che era una dottoressa affermata, moglie (forse ex moglie), italiana di origini straniere, e madre. Il suo corpo era rannicchiato nel furgone, con il capo infilato in un sacco nero legato al collo con un cavo elettrico. Rimosso il sacchetto, i militari hanno trovato una cintura stretta, sempre al collo. La vittima è stata strangolata, probabilmente qualche ora prima di essere caricata nel furgone.
La violenza sistemica sulle donne
Questo è il 29esimo femminicidio in Italia da inizio anno. Ogni giorno, le donne sono vittime di una violenza sistemica radicata nel patriarcato, complice una struttura sociale che perpetua il controllo e la dominazione degli uomini sulle donne. La narrazione distorta dei media, quella che alimenta non poco tacitamente questo sistema, spesso tenta di giustificare tali atti parlando di crisi di coppia, del fatto che lei aveva lasciato lui o, come in questo caso, di conflitti per l'affidamento dei figli. Come se questi atti fossero giustificabili, come se l’uomo fosse stato spinto “per colpa della donna” a compiere un tale gesto. Come Andrea Paltrinieri se avesse ucciso Anna Sviridenko per il troppo amore verso i figli. Come se potesse esserci una qualsiasi causa sufficiente a giustificare, anche solo parzialmente, un femminicidio. Spesso poi, a rimarcare tale “pulizia” della coscienza collettiva, è proprio il fatto di abbinare la parola femminicidio e la “sua causa” già nel titolo. Proprio come se uno fosse la naturale e diretta conseguenza dell’altro. Esattamente come fa la Repubblica in questo caso.

Questo approccio è inaccettabile e pericoloso perché minimizza e tenta di giustificare un atto di violenza che è cadenzale, strutturale e perenne, attribuendolo alla vittima una colpa implicita, quella di aver fatto soffrire il povero cucciolo d’uomo, e di aver quindi giustificato la sua stessa morte.
La distorsione del linguaggio mediatico
È fondamentale sottolineare come la Gazzetta di Modena abbia definito la vittima come "ex moglie", mentre altri media continuano a riferirsi alla donna come "moglie". Se fosse vero che la donna era ormai l'ex moglie, allora l'uso del termine "moglie", da parte di tutti gli altri media, non solo rappresenterebbe una menzogna ed un illecito deontologico, ma non farebbe altro che perpetuare un'idea di appartenenza della donna all'uomo, suggerendo implicitamente che egli avesse una sorta di diritto su di lei in quanto “sua moglie”. I media hanno la responsabilità di verificare accuratamente queste informazioni, perché il linguaggio utilizzato non è neutrale: contribuisce a plasmare la percezione del pubblico e, in questo caso, a “giustificare” il femminicidio. Non ho davvero il cuore e le forze morali di fare telefonate per accertarmi della cosa in questo momento. E non dico che non spetti a me farlo, ma sicuramente dovrebbero farlo i colleghi che scrivono su vere testate giornalistiche. D’altronde questo blog non è uno spazio giornalistico, come ho sottolineato nel sito, ma un luogo di riflessioni femministe e personali che prendono vita dalle informazioni trovate sui principali media.
L'importanza del nome e dell'identità
Un altro aspetto cruciale è la mancata menzione, nel momento in cui scrivo questo articolo, del nome della vittima, mentre il nome dell'assassino, Andrea Paltrinieri, è noto. Questo crea una disparità che toglie alla vittima la dignità di essere riconosciuta come persona, riducendola a "una donna" anonima e senza volto.
Anna Sviridenko invece un volto lo aveva eccome, ed era questo.

Ci sono motivi validi per mantenere l'anonimato in un primo momento, come la necessità di informare i familiari, ma questi motivi diventano inconsistenti se si rivela il nome dell'uomo, perché indirettamente si svela anche l'identità della vittima, che invece merita di essere ricordata con il suo nome, come persona, non come una semplice statistica o peggio, come l’ennesima “donna a caso”. Riguardo a questo, ti consiglio vivamente di visitare la pagina Instagram @ladonnaacaso, per capire la gravità dell’argomento.
La narrazione delle vittime
Spesso i media sottolineano dettagli come il fatto che la vittima fosse una professionista affermata, una prostituta, italiana, straniera, single, studentessa, moglie di, madre di… Queste specificazioni sono estremamente pericolose per la società, perché abituano i lettori a pensare che ci siano vittime di serie A e di serie B, e implicano che alcune vite abbiano più valore di altre. Ogni femminicidio è un atto di violenza atroce, indipendentemente dallo status sociale, professionale o nazionale della vittima.
La stessa cosa viene fatta quando si parla del femminicida: se è italiano, padre, “di buona famiglia” (qualunque cosa questo significhi), o se esercita una professione socialmente qualificante, si costruisce una narrazione distorta della realtà. Perché i femminicidi non sono compiuti da stranieri, “pazzi di gelosia”, poco di buono, o “reietti della società”, ma semplicemente da uomini. Sempre. Ecco perché sono definiti femminicidi: hanno in comune il volere dell’uomo, qualsiasi uomo, di esercitare il proprio potere sulla vita delle donne, qualsiasi donna.
Incredibile notare come si continuino a riscontrare titoli del genere, come questo della Gazzetta di Modena, che "giustificano" il femminicida. Titoli che fanno passare un messaggio preciso, ovvero che si sia trattato quasi di un errore, di un raptus, di un momento di "debolezza" dell'uomo, quando invece sono stati proprio la sua forza e la sua furia quelli che hanno ucciso Anna Sviridenko.

Critica alla società patriarcale
In Italia, con il governo Meloni che sta riportando indietro i diritti delle donne (come quello all'aborto), urlando inni alla natalità quasi questa fosse l’unica funzione socialmente utile delle donne, stiamo percorrendo una strada davvero spaventosa, che rischia di costruire una narrazione sociale atta a legittimare sempre di più violenze di genere e femminicidi (scommettiamo: su TeleMeloni il femminicida sarà sempre e solo un immigrato).
La violenza di genere non è un problema individuale, ma una manifestazione estrema di una società patriarcale che cerca di mantenere il controllo e la dominazione sulle donne. La narrazione mediatica deve cambiare, riconoscendo il femminicidio per quello che è: un crimine alimentato dalla disuguaglianza di genere e dal desiderio di controllo maschile.
Un appello alla racconto corretto della verità
Il femminicidio di Modena è un, purtroppo, “classico” (proprio perché cadenzale) esempio della violenza sistemica che le donne continuano a subire. È essenziale che i media riportino questi fatti con una consapevolezza critica, senza giustificare o minimizzare la responsabilità dell'assassino, e dando dignità e voce alle vittime. La società deve riconoscere e affrontare le radici profonde di questa violenza per poterla combattere efficacemente.
La responsabilità dei media
I media hanno un ruolo cruciale nella narrazione di questi crimini: devono evitare di perpetuare stereotipi di genere e giustificazioni implicite. Devono raccontare la verità con rispetto, riconoscendo l'individualità e la dignità delle vittime. Solo così possiamo sperare di costruire un linuaggio sociale dove la violenza contro le donne non sia più tollerata né giustificata.
Le parole, infatti, sono un mezzo potente per plasmare l’opinione pubblica, le menti, la società. Le parole hanno conseguenze. Dobbiamo usarle per combattere l'ingiustizia e la violenza, non per perpetuarle. Ogni femminicidio deve essere un allarme, un grido di protesta contro una società che ancora tollera la violenza sistemica contro le donne.
Voglio concludere questa riflessione ricordandoti, per favore, di segnalare ogni titolo “corrotto” che vedi, utilizzando la Media Sexism Map che trovi a questo link.






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